lunedì 26 giugno 2017

Leggere Lolita a Teheran, di Azar Nafisi


Capita a volte che un libro ti entri dentro lasciando un segno indelebile e diventi inesorabilmente parte di te, forse perché è il libro giusto al momento giusto, forse perché è semplicemente IL libro. Da molto tempo ormai mi affascinano la storia e la cultura dell'Iran – sentimento alimentato anche dalla lettura di Persepolis e dai racconti di viaggio di un'amica – e Leggere Lolita a Teheran mi aveva sempre attratto per il suo legame con questo paese così temibile e al contempo intrigante e per il rimando ad alcuni importanti classici della letteratura occidentale. Mai avrei pensato però che potesse scuotere a tal punto le mie corde emotive, che potesse coinvolgermi tanto da non riuscire a staccarmene fino ad averne divorato anche l'ultima riga, che potesse indurre in me sentimenti così forti e contrastanti. Di solito sono una lettrice piuttosto lenta, di certo ben lontana dalla cosiddetta "divoratrice" di libri; ma non è stato questo il caso.



Leggere Lolita a Teheran è un libro che ti entra dentro con una potenza disarmante, che sconvolge e ferisce, vuoi per il racconto della violazione di diritti umani per me così indiscutibilmente inalienabili, vuoi per l'infelice ritratto del declino di un paese e una civiltà che così tanto hanno avuto – e avrebbero tutt'ora – da donare al mondo. «Questa è per me Teheran», ci dice Azar Nafisi, «le assenze sono più reali delle presenze». E quelle assenze non sono intese dal punto di vista fisico, quanto piuttosto emotivo: si tratta di assenze dell'anima, della personalità, della capacità di amare e provare emozioni, della determinazione a reagire alle ingiustizie, della consapevolezza stessa di esistere. Del resto, il primo obiettivo della Repubblica islamica, che con violenza, prevaricazioni e un'impudente opera di indottrinamento riuscì a imporre il proprio regime su una popolazione inerme, era, come ci informa Nafisi, quello di eliminare il confine tra privato e politico «finendo per distruggerli entrambi».

Adesso che non potevo più pensare a me come a un'insegnante, una scrittrice, che non potevo più indossare quello che volevo, né camminare per la strada al mio passo, gridare se mi andava di farlo o dare una pacca sulla spalla a un collega maschio, adesso che tutto ciò era diventato illegale, mi sentivo evanescente, artificiale, un personaggio immaginario scaturito dalla matita di un disegnatore che una gomma qualsiasi sarebbe bastata a cancellare.

Non è facile identificare Leggere Lolita a Teheran in un unico genere: non è un romanzo, non è un saggio, né tantomeno un diario; si potrebbe definirlo una raccolta di memorie e riflessioni condite da una appassionata critica letteraria. L'analisi letteraria di Azar Nafisi – all'epoca docente di Letteratura inglese all'Università di Teheran, oggi insegnante della stessa materia alla Johns Hopkins University, negli Stati Uniti – non solo è rappresentativa del profondo amore nutrito dall'autrice nei confronti delle opere discusse nel testo, ma si fonde con le vicende vissute in prima persona da lei, dai suoi studenti e, indirettamente, dal suo paese, diventando l'inconsapevole narratrice di una condizione umana cui di umano ormai rimane ben poco.

Tutte le grandi opere di narrativa, per quanto cupa sia la realtà che descrivono, hanno in sé il nocciolo di una rivolta, l'affermazione della vita contro la sua stessa precarietà.

Questa affermazione nasconde in sé il cuore stesso del libro e le opere letterarie diventano la chiave per leggere e comprendere un Iran sconvolto dalla rivoluzione islamica, con le sue speranze, i suoi orrori e le sue contraddizioni. L'autrice parte dal ricordo di un seminario privato sulla letteratura che organizzò in casa sua con alcune tra le sue migliori studentesse, arrivando pian piano a dispiegare davanti ai nostri occhi il racconto di un paese follemente amato quanto temuto e detestato, un paese che ha saputo dare la vita a milioni di individui per poi togliere loro senza pietà dignità, onore e perfino il cuore per amarlo.
Il libro si divide in quattro parti, ognuna delle quali prende il nome da un'opera, un personaggio o un autore della letteratura occidentale: Lolita, Gatsby, James e Austen. Se nella giovane Lolita perseguitata da Humbert Nafisi riconosce le donne del suo paese, lasciate completamente sole e private di ogni sostegno al punto di non potersi affidare a nessun altro se non il proprio aguzzino, in Gatsby rivede lo stesso Iran, vittima di un sogno sbagliato che l'ha condotto inesorabilmente all'autodistruzione; nella Daisy Miller di Henry James riconosce uno schiacciante contrasto con i suoi studenti, piegati alla paura e vittime di un lavaggio del cervello che li ha privati di ogni senso di ribellione e, soprattutto nelle donne, di identità; le eroine della Austen, infine, nella loro incarnazione del desiderio femminile di libertà e imposizione della propria identità, riflettono lo spirito delle giovani partecipanti al seminario privato di Nafisi, che lei rivede nelle vecchie foto raccontandoci passo dopo passo una parte della loro esistenza e dei loro "pensieri proibiti". Ogni opera citata nel testo, diventa così uno strumento in mano all'autrice per scandagliare l'animo dei suoi connazionali, riflettere sulle azioni compiute e il destino di una madrepatria in cui si sente ogni giorno sempre più un'estranea.

Era questo il vostro sogno, il sogno della rivoluzione? Chi pagherà per tutti i fantasmi che infestano i miei ricordi? Chi pagherà per le fotografie dei giustiziati che nascondevamo nelle scarpe? Me lo dica, signor Bahri – o, per usare la curiosa espressione tipica di Gatsby, me lo dica, «vecchio mio»: che dobbiamo farne di tutti i cadaveri di cui siamo responsabili?

Leggere Lolita a Teheran non è decisamente un libro facile, come può non esserlo un libro che racconta uno dei periodi più bui della storia di una popolazione dal suo interno. È un libro che trasmette rabbia, dolore, uno di quei libri che si odiano per ciò che ci raccontano, ma che non possiamo fare a meno di riempire di sottolineature e commenti al margine. È un libro forte? Forse no, ma è un testo che alterna la descrizione di momenti di giocosa e semplice umanità a riflessioni appassionate e ricche di dolore e risentimento, che ci induce a pensare a questa nostra umanità, a quanto siano ingiuste tali atrocità, che ci sprona a interrogarci su cosa possa spingere le persone a tanta follia, che ci illumina sull'indomabile potere distruttivo che la paura nutre sugli individui e che ci invita a realizzare quanto poco basti per distruggere ogni cosa. Eppure ho amato questo libro. L'ho amato perché, nella sua ingenua crudeltà e nei suoi racconti di sogni infranti, trasmette un seppur celato desiderio di ribellione e si fa portavoce dell'importanza salvifica che fantasia e immaginazione possono avere nella nostre vite.

6 commenti:

  1. Io lo adoro! Ed ero stata ad un talk di Azar Nafisi che e' una donna straordinaria...

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    1. Ma che bello! Mi piacerebbe assistere a un suo talk.

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  2. Ciao Mami :) ho letto questo libro l'anno scorso ed è stata non soltanto una delle letture più belle del 2016 ma, credo, di tutta la mia vita. Mi ha fatto lo stesso effetto di cui hai parlato tu: ha scosso le mie corde emotive. Mi ha fatto riflettere, ha toccato qualcosa di profondo in me e, in un certo senso, mi ha cambiata. Se per caso ti era capitato di imbatterti nella mia recensione, avrai già visto con quanta energia e passione ne avevo parlato. La tua, di recensione, rende giustizia a questo libro meraviglioso (complimenti!) e spero che contribuisca a spingere a leggerlo chi non l'ha ancora fatto.

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    1. Ciao e grazie per i complimenti :) Sono felice di non essere stata l'unica a rimanere tanto colpita da questo libro. Non mi sembra di aver letto la tua recensione, ma andrò subito a cercarla!

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  3. Ciao Mami, bellissima recensione, fra l'altro di uno dei libri che è entrato dritto dritto nella mia top ten del 2016, nonchè del primo recensito sul blog. Insomma, per me è stato proprio un libro speciale*-*
    L'ho amato moltissimo, anche se le ultime due parti mi sono piaciute un po' meno. Ti consiglio tanto anche Quello che non ho detto, è un completamento perfetto della storia, nonchè un libro molto appassionante e scritto divinamente (ma è Azar Nafisi, mica nulla).

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    1. Wow! Avevo ricordo di averlo visto nominare da qualche parte nel tuo blog, ma non credo di aver mai letto l'intera recensione. Vado subito a cercarla!
      Anch'io ho preferito la prima metà, ma ho amato anche la conclusione. Grazie per il consiglio, sono davvero curiosa di leggere altre cose di questa autrice :)

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